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Ripetere per apprendere… o per addestrare? La sottile differenza che cambia tutto

Francesco Brasili da Francesco Brasili
26/08/2025
in ARTICOLI
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Nel calcio, come in ogni disciplina sportiva, la ripetizione è considerata come una delle basi principali dell’apprendimento tecnico.

Ma ripetere “cosa”, “come”? E soprattutto “perché” e “come” si dovrebbe ‘ripetere’ “?

La differenza tra allenare e addestrare passa proprio da queste domande. 

Secondo la mia esperienza l’apprendimento “sboccia” il più delle volte tramite una ripetizione consapevole, dinamica.

Come abbiamo già sentito più volte, “senza ripetere”, dove ogni gesto tecnico è inserito in un contesto ricco di senso, ascolto delle percezioni interiori e delle emozioni, con un focus sull’obiettivo dell’atto motorio all’interno del gioco, piuttosto che effettuare una ripetizione imposta, quasi passiva, della serie: “Osserva e copia”. 

Avete mai visto giocare dei bambini ad un videogame? Avete mai giocato voi direttamente?

Loro ripetono e ripetono, sperimentano, si correggono, si autovalutano, formulano ipotesi, anche inconsciamente, sulla probabilità di riuscita di una giocata piuttosto che di un’altra. 

Il tutto all’interno di uno scenario di gioco condito da più obiettivi, finché diventano più bravi (le difficoltà e le variabili da prendere in considerazione aumentano in proporzione nel gioco stesso, garantendo longevità al videogame, ma il focus sull’obiettivo delle azioni da compiere è sempre molto chiaro nel contesto). Insistono e sono caparbi perchè vogliono raggiungere quell’obiettivo di cui hanno compreso lo scopo e perchè sono pienamente coinvolti nel farlo!

Non si limitano a cliccare sul joypad in modo corretto e/o al tempo giusto!

C’è qualcuno dietro di loro che gli dice cosa fare in continuazione?

Credo che se un adulto lo facesse la loro reazione sarebbe facilmente immaginabile!

“Il fare è la base, ma fare tanto = automatizzare e/o fare tanto = migliorare, non sono da soli sufficienti“.

È una riflessione che accompagna spesso i miei pensieri. Vediamo allora cosa possiamo aggiungere o togliere.

"(LA VITA) CI OFFRE MOLTE ESPERIENZE, MA SE L'ESPERIENZA DA SOLA PORTASSE SAGGEZZA E REALIZZAZIONE, GLI ANZIANI SAREBBERO TUTTI FELICI, SAREBBERO TUTTI MAESTRI ILLUMINATI. BISOGNA SCOPRIRE LE LEZIONI NASCOSTE NELLE ESPERIENZE."

DAN MILLMAN

Addestramento: quando il gesto diventa coreografia

Quando l’unico obiettivo è ripetere un gesto, svuotandolo di contesto e significato (o riducendo entrambi drasticamente), si rischia di scivolare nell’addestramento: una riproduzione meccanica, condizionata. Adesione, praticamente totale, ad un modello altrui. Il gesto viene (forse) richiamato dalla memoria in modo rigido, senza che l’atleta comprenda quando e se usarlo, perché, o in risposta a quale situazione, ma solo perché uno stimolo è stato fornito.

È come imparare a memoria le tabelline senza sapere quando usarle. O come preparare un piatto in cucina con ingredienti perfetti, ma con la pasta scotta e una tavola dove si litiga. Si perde il sapore, si perde il senso.

È come perdersi in una meravigliosa coreografia: bellissima, ma il gioco è un’altra cosa.

Allenamento: Quando ripetere diventa scoperta

Secondo l’opinione di chi scrive l’allenamento, invece, ha una dimensione educativa di autoesplorazione e conoscenza. Non si limita a insegnare il come, ma aiuta l’atleta a scoprire il perché, il quando, il dove, e a farlo ascoltandosi, autovalutandosi, e, così facendo, scoprendosi di volta in volta. Coinvolge la mente, le emozioni, le percezioni. L’atleta non ripete un gesto, ma si allena a riconoscere, interpretare e risolvere nuove situazioni attraverso quei gesti e così facendo ad evolvere come individuo e come individuo all’interno di un gruppo con uno o più obiettivi. 

È un allenamento che tiene conto della complessità e delle dinamiche del gioco, dell’unicità di ogni giocatore, e delle sue emozioni, dell’essere realmente “artefice del proprio destino” in quel momento e contesto.

Tutti sappiamo che le regole degli scacchi impongono mosse prestabilite ai vari pezzi della scacchiera, ma il vero gioco non è saper muovere i pezzi, è affrontare un avversario anticipando, sviluppando, gestendo l’imprevisto, portando l’opponente a scoprirsi o a sottovalutare, usando e miscelando inganno e pianificazione.

Così è anche per il gioco del calcio, dove nessuna partita, come per gli scacchi, potrà essere uguale all’altra. Certo, per i principianti, come per chi impara a guidare, all’inizio é necessario partire dalle basi.

Devo imparare a guidare un’auto: quanto tempo dedica il maestro per farmi capire dove si trovano frizione, freno e acceleratore, qual è la sensibilità del volante o lo stacco della frizione, rispetto a come si conduce normalmente una macchina in strada?

Quanto tempo si dedica al tutorial di un videogioco e quanto invece a cercare di finire quel gioco?

La ripetizione migliora l’affordance, ma poi serve il transfer. Imparare le tabelline a memoria significa saper fare le moltiplicazioni? Quanto tempo investe una maestra di matematica a far imparare le tabelline e quanto invece al loro uso? Quali sono gli elementi di complessità che devono esistere perché l’allievo sappia riconoscere la necessità di applicare una moltiplicazione? Perchè è più comodo usare una moltiplicazione rispetto a più addizioni uguali?

Ripetere senza ripetere e l'approccio dell'apprendimento differenziale

La teoria dell’apprendimento differenziale, ad esempio, ci stimola ad introdurre nelle esercitazioni variazioni, rumore, caos controllato all’interno della ripetizione. Facendo ciò stimoliamo l’adattamento, la flessibilità, la creatività e sosteniamo la motivazione.

“L’apprendimento non è la ripetizione del gesto perfetto, ma la scoperta di nuove soluzioni nel caos del movimento”. Wolfgang Schöllhorn

Le neuroscienze supportano questo approccio. Studi hanno dimostrato che la ripetizione produce minore attivazione nelle bande EEG theta e alfa, mentre la variazione (imprevedibile) le aumenta; inoltre, situazioni di incertezza favoriscono un maggiore rilascio di dopamina.

Quindi variazione e imprevedibilità aumentano l’attivazione neuronale e consolidano l’apprendimento motorio. Inoltre la scoperta attiva l’emozione della sorpresa, che a sua volta attiva l’attenzione e il circuito della ricompensa celebrale, in un circolo virtuoso e automotivante. Si generano così delle esperienze in situazioni di gioco che velocizzano la capacità di lettura dello stesso e amplificano le possibilità di giocare di anticipo, perché contemplano l’imprevisto e gli elementi minimi del gioco stesso, anche se talvolta semplificati.

Tutti noi abbiamo sentito citato almeno una volta Bernstein suggerire che “la pratica è una particolare forma di ripetizione senza ripetizione“, con riferimento alla pratica motoria, dove lo scopo dell’apprendimento non è ripetere un movimento identico, ma ottenere un stesso risultato, con mezzi ogni volta leggermente diversi, funzionale per il buon esito del risultato al quale il gioco aspira.

"L'IMPERATIVO DI RIPETERE SENZA RIPETERE NEL CONTESTO DELL'APPRENDIMENTO MOTORIO... DELL'IMPORTANZA DI NON LIMITARSI ALLA RIPETIZIONE IDENTICA DI UN GESTO, MA INVECE PRIVILEGIARE VARIABILITÀ E ADATTAMENTO"

FRANCESCO CAPANNA

Il ruolo centrale di Percezione, Emozione, Immaginazione e Coinvolgimento attivo

Anni fa, il celebre tecnico olandese Rinus Michels, rivolgendosi al collega Arrigo Sacchi, sembrerebbe aver dichiarato: “Siete strani voi italiani, insegnate la tecnica a sé stante dal gioco. Noi insegniamo come deve essere in partita… Sarebbe come insegnare a nuotare mettendo i calciatori su una tavola… Noi li buttiamo in acqua“. Chi scrive non è in grado di confermare la veridicità di questa affermazione, quello che importa è la forza del messaggio visto che, secondo la filosofia di tantissimi addetti ai lavori, alla quale pienamente aderiamo, sappiamo che per imparare a giocare, dobbiamo giocare!

“Un ragazzo impara a giocare se gioca a calcio”  Francesco D’Arrigo

Anche Alfred Galustian, co-fondatore del metodo Coerver® Coaching, in questa direzione ricorda che “quando si lavora con il ball master, il contatto con la palla, bisogna che duri poco, forse anche solo 5 minuti, e si deve fare in modo che lo si faccia attraverso una gara, perché la ripetizione fine a sè stessa è molto noiosa. Create le condizioni perché emerga la competizione, ma poi passate subito al gioco“.

Allora la ripetizione non serve? CERTO CHE SERVE! Ma condita con altri elementi fondamentali, da accompagnare al ripetere senza ripetere, affinché la ripetizione possa trasformarsi in vero e proprio turbo per apprendimento:

• Percezione: la capacità di sentire cosa succede nel proprio corpo e nell’ambiente. Senza percezione, il gesto resta vuoto. Nella ripetizione l’atleta dovrebbe cercare la sua esperienza (efficacia) rispetto alla realtà, non solo l’adesione ad un modello che può fungere da punto di partenza, quindi dovrebbe sviluppare una sensazione interna che si amplifica positivamente quando il gesto viene bene e/o é efficace, generando così consapevolezza e provocando un impatto cognitivo in termine di fruibilità dell’azione. Domandiamo ai nostri allievi, come suggeriva anche Rodolfo Cavaliere, ex pallavolista e oggi learning coach in un webinar: “Sei soddisfatto di quelli che hai sentito durante l’esercizio?“. “Hai la chance di ascoltarti durante l’esercizio, sfruttala, ascoltati. Quando sei contento delle tue sensazioni cambiamo esercizio o alziamo il livello di stimolazione“.

• Emozioni: ogni gesto efficace è connesso a uno stato emotivo. Le emozioni danno forza al ricordo motorio. Quale emozione collego ad un gesto tecnico? Fatti 100 tiri, quali saranno le % di emozioni che si sono manifestate durante l’intera esecuzione? Quale sarà l’impronta, il tatuaggio emotivo che rimarrà dopo l’allenamento (neuroassociazione)? Domandiamoci: “Perché è così importante per un tecnico l’uso del rinforzo positivo specifico effettuato con il corretto timing con i propri allievi? È sempre vero il detto: No pain no gain? Avete mai sentito invece il detto: No pleasure no treasure?

Immaginazione: immaginare l’azione, anticiparla, rappresentarsela mentalmente “come se” fosse vera è una delle forme più potenti di accompagnamento all’allenamento (visualizzazione ideomotoria). Ha tutto un altro significato, e un’altra riuscita nel medio-lungo termine, eseguire il buon vecchio muretto, immaginando di calciare al portiere della mia squadra del cuore, o del compagno di società che gioca nella categoria superiore, o all’avversario dell’ultimo o del prossimo match, piuttosto che eseguirla asetticamente.

Coinvolgimento attivo: creare una ripetizione che sia divertente e per questo stimolante, ad esempio come una sfida con sè stesso (record!), una sfida a confronto e/o a tempo con punteggio con altri compagni. Avete notato come una semplicissima corsa vai e vieni si trasformi, se fatta sotto forma di gara e/o di staffetta? E se invece ho anche l’obiettivo di prendere e portare qualcosa prima di tornare indietro? E se faccio tutto questo con un pallone tra i piedi? E se a metà percorso c’è un avversario che mi ostacola, anche solo passivamente? E se…? Le conseguenze, anche sotto il profilo dell’attenzione, sono notevoli.

“L’energia va dove metto l’attenzione” ci ricorda la saggezza orientale e può divenire, con costanza e consistenza, un vero e proprio atto trasformativo. Non solo dal punto di visto quantitativo, ma anche qualitativo, ci permettiamo di specificare.

L'importanza della ripetizione nell'allenamento . Il principio del carico didattico

Per esperienza di chi scrive, più un ragazzo/a è coinvolto nel gioco, più il gioco diventa motivante. E un bambino/a fermo é (probabilmente) un bambino/a che non si diverte e non migliora. Sono principi maturati dalla pratica di campo con bambini/e e ragazzi/e di varie età. Se qualcuno ricercasse una controprova lo invito a condurre una seduta di allenamento con bambini di 5-6 anni!

“La quantità del carico didattico, è un parametro fondamentale a tutti i livelli di apprendimento e quanto maggiore è il tempo dedicato all’addestramento, più favorevolmente si avviano i processi di stabilizzazione della tecnica per raggiungere la necessaria automatizzazione dei gesti, seppur flessibile“. Stefano D’Ottavio

Abbiamo tutti sentito del principio delle 10.000 ore. Parimenti è intuibile la differenza tra una partita 9vs9 e un match 3vs3 su spazi ridotti, in termini di palloni giocati (e quindi ripetizione di gesti tecnici e/o motori, coinvolgimento in tutte le fasi, variazione dei ruoli, numero di occasioni da gol per singolo individuo, etc.).

Anche qui l’invito è sperimentare: raramente ho visto in campo, in occasione di partite ufficiali l’agone, la concentrazione e la voglia di rimontare dimostrato dai giocatori nel torneo interno a fine allenamento, con partite 4vs4 o 3vs3, oppure 2vs2, ovviamente in contemporanea!

Un esempio chiarificatore: la "Partitella Cinese"

Una storia emblematica è quella raccontata dal mister Fabrizio Piccareta nel libro “Allenare giocando nel settore giovanile” durante un campus in Cina: dopo mesi di addestramento tecnico, alcuni bambini che mai avevano giocato a calcio prima, ma ai quali erano stati somministrati per mesi esercizi specifici di tecnica calcistica, erano in grado di condurre e passare la palla… ma erano tutti praticamente incapaci di giocare una partita! Perché? Mai avevano collegato i gesti allo scopo del gioco, perché il loro allenatore non li aveva mai fatti giocare, non credendoli ancora pronti per il gioco!

“In definitiva questi bambini avevano appreso la tecnica in funzione di qualcosa di cui ancora non avevano coscienza […] In quel momento due cose, più di ogni altra, mi furono chiare: che il tutto è più importante delle singole parti e che ogni gesto deve essere finalizzato a uno scopo.” Fabrizio Piccareta

Conclusione. Quale prospettiva?

Ad avviso di chi scrive, assumersi la responsabilità di allenare, non dovrebbe significare modellare piccoli “soldatini del gesto”, ma educare atleti che sanno osservarsi e autovalutarsi, autonomi, flessibili e, perchè no, coraggiosi e creativi! La ripetizione non è il nemico, ma dovrebbe essere trasformata: da strumento di controllo a veicolo di consapevolezza, a potente alleato. Dobbiamo educare i nostri allievi/e verso una ripetizione potenziata, interiorizzata, mai banale. La ripetizione fine a sè stessa rischia di condurre ad addestramento (e non allenamento!) e quindi a poca consapevolezza sugli obiettivi, sul significato di quello che si fa negli allenamenti e che viene richiamato dalla memoria come un condizionamento, mentre è invece determinante che chi apprende sia coinvolto profondamente nell’allenamento, affinché diventi un’educazione a fare meglio ed esprimersi al meglio, per sè stesso e per la squadra, acquisendo sempre più maggiore sensibilità a 360° per il miglioramento nel breve termine, e per porre le basi di una crescita nel continuo nel suo futuro.

Tags: PRIMO PIANO
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Francesco Brasili

Francesco Brasili

Francesco Brasili, 49 anni, con un’esperienza ultradecennale quale educatore di scuola calcio e/o responsabile, è iscritto all’albo nazionale dei formatori ufficiali del metodo Emotional Sport e del metodo  Coerver® Coaching. È certificato Personal Trainer, Mental Coach, Operatore in Neuroscienze ed è cultore della metodologia Joy of Moving e della strategia educativa dell’Educazione Emozionale, approfondita durante gli anni di partecipazione all’Accademia di Pedagogia Viva. In possesso di laurea in Giurisprudenza ed esperto in processi, organizzazione, gestione delle risorse umane e comunicazione, è insegnante qualificato di Qigong e II Dan internazionale di Kendo.

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