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Home PSICOLOGIA

EMOZIONI E APPRENDIMENTO

Luciano Faccioli da Luciano Faccioli
10/11/2019
in PSICOLOGIA
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A cura di Luciano Faccioli

Tempo di lettura 3 minuti

Mattia frequenta la terza primaria, va a Scuola sereno ed è felice di andarci perché ci sono i suoi amici e le sue amiche e gli piace stare con loro, inoltre c’è la maestra che gli vuole bene, è sempre gentile, anche se a volte si arrabbia e lo richiama. Oltretutto è anche molto brava a insegnare e lui si fida di lei; insomma, l’ambiente classe è positivo e rassicurante.

Valentina gioca a calcio, al II anno dei primi calci, va alla Scuola Calcio del suo paese perché è da sempre appassionata di questo sport (fortunatamente i suoi genitori non sono schiavi degli stereotipoi di genere). Le piace andare agli allenamenti e alle partite anche perchè, oltre a trovare le sue amiche ed i suoi amici, il mister è veramente bravo e poi è accogliente, scherza e ascolta sempre tutti ed ha una parola di incoraggiamento per chiunque sia in difficoltà, insomma il clima di gioco è sicuro, sereno e si diverte molto.

Questi sono due esempi di ambienti che supportano adeguatamente gli apprendimenti e la crescita personale dei bambini. In ambienti sicuri, dove i bimbi non hanno paura ma si sentono sostenuti e protetti e dove si possono divertire cioè affronatre le attività entrando in una esperienza di flusso, gli apprendimenti, la conoscenza di sé, l’autostima, l’autonomia, ne trarranno un grosso giovamento.

L’ho già scritto nei precedenti articoli ma lo ripeto: non confondete le parole “rassicurante”, “protezione” e “divertimento” con “non autonomia” e “disimpegno” perché è l’esatto contrario. É proprio dando sicurezza e facendoli divertire che i bambini apprendono meglio, si impegnano di più e imparano ad essere autonomi.

Ambienti di questo tipo sono altamente motivanti per tanti motivi, ma soprattutto perché stimolano emozioni positive e, come abbiamo visto, permettono al nostro cervello di affrontare meglio i compiti.

Filogeneticamente l’essere umano ha sviluppato questa sua capacità di risposta emozionale ed ha instaurato questo collegamento viscerale-motorio-cognitivo che si attiva di fronte alle situazioni della vita. Ecco che se, al contrario degli esempi iniziali, un bambino in classe o su un campo da calcio è in estrema tensione perché non ha idea di cosa gli potrebbe succedere, ad esempio di commettere un errore per cui sarà sgridato in malo modo, oppure è in attesa della solita battuta velenosa nei suoi confronti o, peggio ancora, della denigrazione del suo operato, beh non si può pretendere che sia anche in grado di imparare quello che gli viene insegnato e di fare bene quello che gli viene assegnato.

Ad un primo livello si può dire che il suo lavoro cognitivo sarà più rivolto a difendersi dalle minacce dell’ambiente che ad assimilare gli stimoli impartiti dagli adulti, sarà quindi più impegnato ad evitare i pensieri negativi che queste tensioni e queste paure elicitano in lui che a stare attento al compito.

Se poi si approfondisce un pochino, sulla scorta di quanto detto nelle precedenti puntate, possiamo dire che:

  • in situazione di questo tipo non c’è divertimento e quindi non ci sarà nemmeno esperienza di flusso,
  • se l’ambiente non è sicuro, anzi incute paura, i bambini tenderanno ad evitarlo,
  • emozioni negative determinano un peggior funzionamento dell’attività cerebrale della corteccia prefrontale che si manifestano con: evitamento della prova, minore attenzione, minore creatività e minore flessibilità

In ambienti con alta tensione emotiva negativa quindi nessun apprendimento può avvenire in modo completo ed efficace e lo stesso possiamo dire per la qualità della prestazione; in questi contesti l’elaborazione delle informazioni dell’ambiente e il corrispondente recupero delle conoscenze interne, operazione necessaria sia per costruire le nuove conoscenze e apprendere che per utilizzare al meglio le proprie competenze, è impedito dal campanello d’allarme emotivo che, inescando reazioni fisiologiche negative e sgradevoli, recluta le risorse cognitive per andare ai ripari e mettersi al sicuro rispetto alla situazione di malessere incombente, offuscando la capacità di stare attenti e di interfacciare in modo proficuo la memoria di lavoro con la memoria a lungo termine.

Riguardo questi argomenti avete mai pensato perché molti ragazzini riununciano ad apprendere e abbandonano il calcio in adolescenza? In genere si ricerca la causa di questo nella poca tendenza al sacrificio, nella nascita di nuovi ineteressi, nei video games, nella società ecc. E le emozioni? Sono sempre messe in secondo piano, eppure tutto dipende da loro.

Senza voler prendere le emozioni come unica spiegazione per gli abbandoni, ritengo però che sia la più importante. Faccio un solo esempio: pensate a un ragazzo che alla Scuola Calcio ha sempre (o quasi) vinto, per vincere sempre alla Scuola Calcio basta fare selezione e addestrare i bambini ad eseguire specifiche azioni – ci sono fior di società che, riferendosi a bambini di 8 anni, senza vergogna alcuna dicono che “vincere non è importante ma è l’unica cosa che conta” – questo bambino una volta cresciuto ed arrivato nelle categorie pre-agonistiche può essere che non riesca più a vincere perchè le abilità si livellano e il trucchetto dell’addestramento non funziona più, se avviene questo non gli resta altro da fare che mollare e dedicarsi qualcos’altro. Ma perché? Per evitare le emozioni negative che l’insuccesso, vissuto come incontrollabile e non rimediabile, scatena in lui.

Potrei fare molti esempi, ma tutte le volte, per giustificare la stragrande maggioranza dell’approccio agli apprendimenti, alla fine arriverei sempre alle emozioni.

Le emozioni sono l’innesco di tutti gli apprendimenti, sono l’innesco del successo, sono l’innesco della felicità.

 

Tags: educatioanlfunzioni esecutiveluciano facciolimetodo sosefneuroni specchioneuropsicologianeuroscienzescuola calciososef
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